Chi è lo stalker?

Derubricato nel reato di “Atti Persecutori” ex art. 612 bis c.p., introdotto nel 2009, il comportamento di stalking racchiude in sé tante possibili diverse sfaccettature e caratteristiche. Ne parliamo assieme alla dott.ssa Chiara Cemmi della Divisione di Psicologia Investigativa.

A più di dieci anni dall’entrata in vigore del reato di “Atti Persecutori”, questi è in constante evoluzione e modifica: a livello legislativo basta pensare alle innovazioni introdotte dalla Legge 69 del 19 luglio 2019 (il c.d. Codice Rosso), ma anche come fenomeno sociale subisce dei mutamenti in concomitanza con il modificarsi della nostra società. Ne parliamo con la dott.ssa Chiara Cemmi, psicologa della Divisione di Psicologia Investigativa dell’Agenzia Investigativa Dogma.

 

Da dove nasce il termine stalking?

La parola stalker deriva dal verbo inglese to stalk, utilizzato per indicare l’inseguimento furtivo posto in essere da un predatore nei confronti della propria preda.

Solo successivamente, intorno agli anni 80/90 questo stesso termine venne utilizzato per descrivere, inizialmente, una serie di persone che mostravano un atteggiamento morboso e finanche violento, nei confronti di personaggi di rilievo, soprattutto del mondo dello spettacolo.

In quegli anni l’attenzione pubblica, e di conseguenza anche quella di esperti psicologi e criminologi, venne attratta dal cercare di capire cosa potesse spingere un individuo a compiere una serie di comportamenti, ossessivi, finalizzati all’avvicinamento di un individuo verso un altro, avvicinamento che poteva a volte avere risultati drammatici.

Iniziarono così una serie di studi e ricerche che hanno portato a rilevare come un comportamento inizialmente ritenuto agito solamente verso personaggi pubblici fosse invece una modalità di interazione, non funzionale ovviamente, anche tra individui per così dire “comuni”.

Più si andava avanti nello studio del fenomeno, più diventava complesso comprendere come una modalità di agito (la ricerca ripetitiva e assillante di un contatto con la propria vittima non consenziente) fosse comune a una varietà estremamente ampia di individui. Inoltre, anche grazie all’introduzione delle leggi anti-stalking, si è potuto assistere anche a una modifica di quello che è l’immaginario collettivo sottostante a questa particolare tipologia di fenomeno.

 

Che cosa intende?

Inizialmente l’immaginario collettivo aveva un’idea differente di cosa considerare come persecutorio e cosa no. Nel momento in cui venne introdotto il reato di stalking in diverse legislazioni, a partire da quelle del mondo anglosassone fino alla nostra nel 2009, sono state svolte delle ricerche volte a comprendere come la popolazione reagisse a tale fenomeno, ossia quali fossero le idee sottostanti allo stesso.

Venne riscontrato quindi, che tendenzialmente la gente considerava pericolosi gli stalker di sconosciuti, ossia coloro che perseguitano una persona senza aver avuto con essa alcuna relazione precedente, sia amicale che più intima o anche solo di vicinato, come qualcuno incontrato per caso alla fermata del pullman.

La persecuzione da parte di un ex-partner veniva di contro considerata con più, diciamo, benevolenza, come una forma di esagerazione dell’atto del corteggiamento, e pertanto non veniva percepita, erroneamente stante le statistiche riscontrate in differenti ricerche, come pericolosa.

Anche in Italia, in una ricerca svolta nel 2015 da De Fazio e colleghi, si ottennero i medesimi risultati: i ricercatori riscontrarono che solamente le Forze dell’Ordine adeguatamente formate avevano, giustamente, la percezione di maggior pericolo in situazioni di stalking tra ex-partner.

 

Secondo la sua esperienza, che cosa vuol dire oggi il termine stalker?

Oggi il significato della parola stalker è diventato qualcosa da un lato molto specifico, dall’altro estremamente ampio. Mi spiego meglio. Con questo termine nell’immaginario collettivo si rimanda all’idea di una persona che ne perseguita insistentemente un’altra e, stante soprattutto agli ultimi eventi di cronaca e all’apporto mediatico sul tema, sembrerebbe oggi, a differenza del passato, venir associata molto alla figura dell’ex partner.

Di contro, in realtà, il fenomeno “stalking” è estremamente ampio. Vero è che la maggior parte degli stalker ricadono in quella che Mullen definì come la categoria del Rifiutato (per un approfondimento sulla classificazione di Mullen si rimanda all’articolo su come riconoscere uno stalker e le sue diverse tipologie), quindi gli ex-partner per semplificare, ma non si presenta solamente questa tipologia.

Vi sono comportamenti persecutori agiti da vicini da casa, da colleghi di lavoro, da conoscenti o anche solo, ma molto più raramente, da persone incontrate per caso o proprio da sconosciuti; e le motivazioni per cui vi è l’agito persecutorio possono essere altrettanto varie.

Inoltre non esiste una serie ben definita di comportamenti che possono essere definiti come persecutori rispetto ad altri: più facile ovviamente comprendere come una serie di minacce verbali o scritte, danneggiamenti alla proprietà, o simili possano cagionare disagio, ma anche ricevere costantemente e ininterrottamente fiori, attenzioni non richieste o simili, se perpetrati per tempo e, soprattutto, se non affatto graditi, possono ingenerare stati di ansia o tensione.

 

Quindi chi è uno stalker?

Nel corso degli anni sono stati stilati diversi sistemi di classificazione del fenomeno per poter rispondere quanto più esaustivamente possibile a questa domanda; i può noti nel panorama internazionale sono la classificazione di Mullen, il quale utilizza come criteri sia la relazione pregressa tra stalker e vittima che la motivazione sottostante all’agito, e la classificazione di Mohandie e colleghi (2006), per citarne due.

In Italia, inoltre, le Forze dell’Ordine in tema di stalking usano il protocollo “S.I.L.Vi.A.” (Stalking Inventory List per Vittime e Autori) come prima prassi di intervento, il quale si fonda sulla classificazione di Boon e Sheridan (2001), che distingue gli stalker unicamente sulla base della relazione pregressa. E questi sono solo pochi esempi.

La presenza di diverse categorizzazioni, le quali basano i propri criteri categoriali su principi diversi, ponendo l’attenzione di aspetti ogni volta diversi e specifici, fa intendere come sia estremamente complesso il fenomeno in sé, quante e quali sfaccettature può esso nascondere e quanto può mutare col cambiare della società stessa.

Uno studio molto recente (Sheridan e colleghi, 2020) ha rilevato, per esempio, come in Australia sembri esser presente il fenomeno del cosiddetto “gang stalking”, ossia dell’agito persecutorio posto in essere da un gruppo di individui accumunati da un medesimo intento. È necessario effettuare ulteriori studi per comprendere se si tratta di una nuova tipologia a sé stante o se è un’emanazione di tipologie già studiate.

 

Come è possibile muoversi in questa enorme quantità di informazioni?

Innanzitutto è bene approfondire la tematica e rimanere aggiornati: proprio riguardo alla validità delle classificazioni è stato ad esempio condotto un recente studio (McEwan e Davis, 2020) il quale ha riscontrato come non è al momento presente una classificazione migliore di altre, tuttavia alcune risultano più utili per esempio in fasi di indagine, mentre altre sono più complete e accurate nel momento in cui è necessario attuare piani di intervento e di messa in protezione.

Certo che la grande quantità di variabili del fenomeno in sé tendenzialmente può spaventare e confondere. Si potrebbe però affidarci a quanto previsto dalla nostra legislazione, e provare ad affermare che uno stalker, in generale, è colui che mette in atto una serie ripetuta di comportamenti e agiti, di varia natura, i quali causano nel destinatario un perdurante e grave stato di ansia o di paura oppure un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona ad esso legata oppure da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Questo è tanto più facile da comprendere per esempio quando si subiscono minacce, sia dirette che indirette; più sottile e difficile quando i comportamenti agiti non sono di aggressione, ma sono tentativi di riallacciare o instaurare una relazione: tuttavia anche in questo caso, nonostante un rifiuto del destinatario, il protrarsi dei tentativi di approccio, invasivi spesso, può ingenerare le predette conseguenze e, quindi, necessita di essere fermato e la vittima tutelata.

 

Come riconosco oggi uno stalker?

Come accennavo precedentemente, le persecuzioni si possono manifestare in forme e comportamenti estremamente differenti: dai più espliciti tentativi di contatto tramite invio di molte chiamate, sms, chat tramite internet, invio di regali non desiderati, ma non solo.

Vi possono essere comportamenti di controllo, come pedinamenti, comportamenti più aggressivi come il danneggiamento di beni propri e altro ancora. Oggi, per esempio, l’utilizzo massivo di internet sta facendo sì che vi sia anche un aumento di episodi di cyberstalking, quindi dell’utilizzo dei mezzi informatici per perseguitare la propria vittima, anche con modalità estremamente diversificate e non limitate all’invio di e-mail e alle chat nei principali siti network.

Pertanto non è tanto la quantità o la tipologia di comportamenti che rendono uno stalker tale, quanto effettivamente la reazione che questi causano nella vittima, ossia una delle conseguenze previste per legge: uno stato perdurante di ansia o paura oppure un timore per la propria o per la vita delle persone care o ancora obbliga a modificare significativamente le proprie abitudini di vita (come cambiare abitazione, interrompere o modificare drasticamente la mia attività lavorativa). Stante queste affermazioni, la vittima di stalking ha l’onere di dover provare tali conseguenze nella propria vita.

 

Può chiarire l’aspetto relativo al dovere della vittima di stalking?

È dovere della vittima di stalking dimostrare da un lato di esser stata oggetto effettivamente di una serie di comportamenti persecutori, da qui l’assoluta importanza di conservare ogni possibile prova come messaggi, cronologia delle chiamate, dimostrare ove possibile di essere oggetto di pedinamento nel caso, dare prova anche dei danni oggettivi subiti, se subiti ovviamente.

Inoltre deve dimostrare di aver subito le conseguenze previste per legge e sopra già citate. Ciò è importante, da un certo punto di vista, anche come ulteriore strumento per escludere la possibilità che ci si trovi davanti a un episodio di falso stalking.

Chiarisco subito: il falso stalking non per forza di cose avviene per malafede (quindi per la sensazione di gratificazione nel percepirsi come vittima,  o per motivi pecuniali o ancora proprio come ulteriore forma di persecuzione verso la vera vittima di stalking), può succedere ad esempio che vi siano persone con patologie psichiatriche, come persone affette da deliri di persecuzione, che si percepiscano come vittime. Tutte queste figure vanno ovviamente riconosciute, per non incappare in errori giudiziari.

 

Come ci si può difendere dagli stalker?

È importante tenere sempre presente che lo stalker può essere sia una persona a cui si è legati affettivamente o un conoscente, ma anche un estraneo; inoltre lo stesso può agire spinto da differenti motivazioni. Questi aspetti fanno già da soli intendere che nel termine stalking vengono racchiuse moltissime differenti situazioni con altrettanti differenti fattori di rischio e criticità da tenere in considerazione.

Prima di ogni cosa è opportuno rivolgersi alle Forze dell’Ordine le quali, soprattutto stante alla Legge 69 del luglio 2019, sono tenute ad essere formate accuratamente sul tema stalking.

Come prima cosa è importante mettere in sicurezza la vittima, andando a limitare per quanto possibile i danni che un comportamento persecutorio può provocare.

Come già accennato, un aspetto importante è il tener prova di ogni comportamento intrusivo e persecutorio di cui si è vittima, anche con il supporto di agenzie investigative specializzate nel settore ove opportuno; è importante riprendere la percezione di controllo della propria privacy, magari attivando un secondo numero senza tuttavia cancellare quello conosciuto dal persecutore, oppure modificando (ove opportuno) alcune proprie routine. Di sicuro, molto importante è il non sentirsi soli in questa situazione.

Mettere in sicurezza una persona vittima di stalking significa prima di tutto aiutarla a comprendere e valutare bene la situazione, in modo da fornire delle indicazioni quanto più corrette possibile per quella specifica situazioni: il fornire indiscriminatamente delle informazioni di massima, senza conoscere la specifica situazione, può rischiare di far aggravare i comportamenti persecutori.

È quindi opportuno che chi si reputi vittima di stalking sia affiancata da persone estremamente formate e preparate sul tema, in modo da poterle supportare adeguatamente e con le modalità più appropriate. Per un approfondimento si rimanda all’articolo “Come difendersi da uno stalker”.

 

Fonti e articoli citati:

  • Boon, J.C.W., & Sheridan, L. (2001). Stalker Typologies. A law enforcement perspective. Journal of Threat Assessment, 1, 75-97.
  • De Fazio, L., Sgarbi ,C., Morre, J., & Spitzberg, B.H. (2015). The impact of criminalization of stalking on Italian students: adherence to stalking myths. Journal of Aggression, Maltreatment & Trauma, 24, 1106-1122.
  • McEwan, T.E., & David, M.R. (2020). Is there a “best” stalking typology?: parsing the heterogeneity of stalking and stalkers in an Australian sample. In O. Chan & L. Sheridan (Cur), Psycho-criminological approaches to stalking behavior: an international perspective (pp. 115-136). John Wiley & Sons Ltd.
  • Mohandie, K., Meloy, J.R., McGowan, M.G., & Williams, J. (2006). The RECON typology of stalking: reliability and validity based upon a large sample of North American stalkers. Journal of Forensic Sciences, 51, 147-155.
  • Mullen, P.E., Pathé, M., Purcell, R., & Stuart, G.W. (1999). A study of stalkers. American Journal of Psychiatry, 156, 1244–1249.
  • protocollo S.I.L.Vi.A.: https://www.poliziadistato.it/statics/09/silvia_def.pdf
  • Sheridan, L., James, D.V., & Roth J (2020). The phenomenology of group stalking (‘Gang-Stalking’): a content analysis of subjective experiences. International Journal of Environmental Research and Public Health, 17, 2506.